L’esperienza dell’enoturismo

L’enoturismo rappresenta per l’Italia, senza dubbio alcuno, un fenomeno innovativo della più
generale offerta turistica enogastronomica e, certamente, il più evidente. Attorno al vino, infatti, si
è sviluppato un mercato che guarda a questo prodotto con valenze diverse, a seconda che lo si
veda come prodotto agroalimentare in senso stretto, oppure come risorsa caratterizzante
un’offerta turistica, da consumare alla e per la scoperta di un territorio, fino a specializzare un
segmento del mercato. Nel secondo caso, infatti, il vino può costituire l’attrattiva principale di un
territorio o un elemento che concorre, insieme ad altre risorse culturali e ambientali e ad altri
prodotti dell’enogastronomia, alla definizione dell’offerta turistica.
Il vino simboleggia il modo di vivere italiano e trova in tutte le regioni connotazioni differenti, che
conferiscono forza e carattere all’offerta enoturistica nazionale. Ma occorre rimarcare che il
turismo del vino coinvolge anche altri prodotti dell’agricoltura locale e dell’allevamento, la
gastronomia tipica e, ormai, anche l’arte. In questo senso, il turismo del vino è certamente un
fenomeno complesso, perché non si esaurisce nella visita alle cantine, ai luoghi di produzione e
nella degustazione, né è associabile soltanto a forme di turismo rurale o di agriturismo, quanto,
invece, coinvolge in maniera diretta un intero territorio e le sue diverse componenti. A conferma di
ciò, il V Rapporto Censis Servizi sul turismo del vino evidenzia come la spesa degli enoturisti si
indirizza, oltre che ai vini locali, anche all’acquisto di altri prodotti enogastronomici e
dell’artigianato. In aggiunta, il vino, e più in generale l’offerta enogastronomica, rappresenta per
questi turisti soltanto uno dei fattori di attrazione di un territorio. Emerge, dunque, nel loro
comportamento l’idea del viaggio come esperienza emotiva e partecipata, come condivisione della
vita dei luoghi visitati.
Il vino rappresenta una forte attrattiva per i turisti e coinvolge soprattutto un target fatto di adulti,
con livelli di reddito medio-alto e maggiori disponibilità di tempo libero, sensibile non solo alle
buone bottiglie, di cui è un buon conoscitore, se non in alcuni casi un esperto, ma anche al
territorio, alle tradizioni locali ed ai beni d’arte. In termini di cifre, i dati del 2007, curati da Vinitaly e
Movimento Turismo del Vino, stimano, appunto, intorno ai 4,5 milioni il numero degli enoturisti i Italia,
mentre il giro di affari del turismo del vino è di circa 4 miliardi di euro, con un aumento del
fatturato del 10% ed una proiezione di crescita annua dell’8%. Tuttavia, appare come un
fenomeno che ha espresso ancora soltanto il 20% del suo potenziale.
Nel tempo anche il comportamento degli enoturisti si è evoluto. Così, se nel 2003 il Censis
identificava quattro tipologie “tradizionali” di consumatori di vino (i talent scout, gli opinion leader,
gli appassionati e gli enoturisti per caso), oggi anche i termini utilizzati per indicare questi soggetti
si sono modificati, a sottolineare che la componente enogastronomica della vacanza, e non solo
quella enoturistica, ha talmente pervaso le abitudini di consumo da rendere molto difficile una
reale segmentazione del mercato. Si parla, infatti, di marginalisti, che scelgono le mete più
tradizionali come tappe del loro viaggio e che ricercano soluzioni economicamente convenienti; di
politeisti, dai gusti molto diversi, ma tutti interessati a proposte e occasioni a buon prezzo; di
affluenti, turisti con maggiori capacità di spesa e aspettative di qualità più elevate, che cercano
prodotti, servizi e luoghi di successo; ed, infine, di esclusivisti, gruppi minoritari, disposti ad
affrontare costi selettivi, che scelgono destinazioni emergenti ed alla moda (VI Rapporto
Censis/Città del Vino, 2007).
Per contro, anche l’offerta turistica appare quanto mai diversificata, poiché gli elementi di cui si
compone (attrattive, strutture ricettive e di ristorazione, altri prodotti tipici, etc.) appartengono a
tipologie differenti. La formula organizzativa prevalente è quella degli itinerari, le “strade”, che
corrono lungo tracciati che toccano aree e luoghi di produzione, ma che al contempo offrono ai
turisti l’opportunità di conoscere altre risorse culturali e naturalistiche che caratterizzano il territorio
che attraversano. Tuttavia, non sono poche le difficoltà di varia natura che in Italia limitano la reale
operatività e la fruibilità di molte di queste strade.
Sebbene la grande varietà di questa offerta ha dato l’opportunità a tante località e a numerosi
piccoli centri del nostro Paese di essere conosciuti anche sul mercato turistico, tanto da trovare
grazie a questo una modalità per rivitalizzare la loro economia, è anche vero, però, che la sua
eccessiva frammentazione e la sua commistione con elementi molto diversificati e non sempre
connotati di “tipicità”, ha finito con il renderne difficile una puntuale identificazione sul mercato.
Spesso, infatti, si assiste ad una banalizzazione dell’offerta enogastronomica, dove non si
comprende se il consumo di un prodotto tipico vuole rappresentare il fine della domanda turistica
che si rivolge ad una destinazione, o soltanto una sua componente accessoria, a volte neanche
realmente rappresentativa, con l’evidente rischio di confondere i consumatori e determinare una
caduta del mercato. In questa direzione, allora, appare necessario intervenire con adeguate
politiche che riconsiderino l’aspetto tematico che i prodotti enogastronomici tipici possono
realmente dare all’offerta turistica di un territorio.



DiG.V.

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